sabato 9 aprile 2011

Le mie recensioni su SaltinAria: Infinito futuro

Dal 17 febbraio al 20 marzo. “Infinito futuro”, liberamente tratto da “1984” di Orwell, propone un’ambientazione evocativa di un mondo post-contemporaneo dominato dall’occhio del grande fratello, dalla dittatura di un pensiero relativista, ove tutto è possibile, tutto è vero poiché nulla è libero ma tutto imposto sotto la falsa identità della vastità di scelte offerte a chi in realtà non può più scegliere; ove i sentimenti e l’individualità sono stati cancellati in nome di un uomo funzionale, essenziale che diviene quasi automa, robot che risponde solo ad impulsi primari. Un uomo che ha perso la sua natura di uomo.


L’Attore in Movimento presenta
INFINITO FUTURO
liberamente ispirato a 1984 di George Orwell
scritto e diretto da Antonio Sanna
con Laura Amadei, Ezio Conenna, Gianfranco Miranda, Giulio Pierotti, Antonio Sanna, Francesco Sechi, Stefano Thermes

Sette attori, sei uomini e una donna sono disposti in ordine sparso tra gli spettatori con cui condividono lo stesso spazio. Gli spettatori diventano così la comunità in cui si sta svolgendo un rituale macabro che evoca immagini a noi conosciute soprattutto a livello inconscio. Immagini che colpiscono le viscere per la loro quotidianità e contemporaneamente estraneità. Immagini che sono metafora della brutalità dell’essere vivente, metafora di una via rischiosa verso cui ci si dirige quando si perde di vista quelli che sono i principi su cui si fondano le società civili. Gli attori sono gli officianti di un rito in cui sono vittime e carnefici, personaggi grotteschi proprio per la loro natura umana, metafora di un malessere intrinseco alla società.
L’impianto scenico multiplo, il gioco spaziale delle azioni, i diversi luoghi di rito che si creano dei differenti punti dello spazio fanno sì che ogni spettatore possa creare un montaggio unico dato dalla sintesi ottica ed emotiva che ne fa. Quello che sarebbe potuto essere un limite, la molteplicità delle ambientazioni del testo originale in uno spazio molto piccolo, diviene possibilità, peculiarità per il regista. Basta un singolo gesto per trasformare un oggetto scenico in altro, una sedia diviene un tavolo che poi diventerà sedia della tortura, un’altra sedia il confessionale del prete, un vecchio il torturatore. Nulla è solo ciò che appare ma ha in sè la possibilità di essere molteplice. I luoghi dell’azione cambiano con un gesto, con un passo, con uno sguardo. La scena è ridotta a pochi elementi evocativi e simbolici. La scena è il teatro, i suoi muri, le sue finestre, la sua identità, i suoi colori, la consistenza delle pareti e del pavimento, le nicchie naturali, il ripostiglio, le quinte. Tutto è li perché è storia, rito che si materializza e prende forma.
Uno spazio piccolo, come il Seminteatro, offre al testo la possibilità di non creare il gelo dato dalla quarta parete ma di obbligare lo spettatore a guardare, ad essere dentro, ad essere parte di quello che accade; lo spettatore non può esimersi dal guardare la violenza, dal sentire la non libertà, dal condividere il piacere, il desiderio, la trasformazione, l’annientamento. Lo spettatore è parte, non è diverso dall’attore; non ha alibi né scusanti, è responsabile anche lui di ciò che accade; poiché quello che accade, accade grazie alla presenza di ognuno. Lo spettatore potrebbe essere “il prossimo” torturato, il prossimo “polverizzato” perché ancora una parte di lui ricorda ciò che era “nel tempo prima”.
Un coro di voci quello degli attori che rivela una grande padronanza del mezzo artistico scelto. Una regia curata sin nei minimi particolari permette ad ogni singolo attore di essere il personaggio, di non rivelare mai se stesso, di non uscire mai dal ruolo che sta giocando sia esso officiante, vittima o torturatore. La paura, la coscienza del protagonista (se tale si può definire), la brutalità del torturatore della stanza 101, le risa ed il gioco dei torturatori nella scena del cibo conducono lo spettatore in un viaggio storico attraverso le immagini delle dittature del ‘900. Immagini che conosciamo bene perché fanno parte della nostra storia, o meglio dire della parte brutale dell’uomo che è sempre li. Immagini che contorcono le viscere. Immagini davanti a cui vorremmo chiudere gli occhi. Immagini davanti a cui abbiamo il dovere di non esimerci dal guardare. Scene che non sono solo teatrali, ma evocano un reale fin troppo reale. “Infinito futuro” ci conduce lì, ci porta dentro quel presente che racchiude in se passato-presente e futuro. Un presente che è il nostro male sociale; l’eterno combattimento dell’uomo tra relatività e unicità, tra vittima e carnefice, tra bene e male, tra democrazia e dittatura, tra ragione e sentimento.
Uno spettacolo da vedere per la bellezza artistica con cui è stato costruito e la vastità di immagini su cui riflettere.

Seminteatro - via Adelaide Bono Cairoli 3, Roma (Zona Garbatella)
Orario spettacoli: dal giovedì al sabato ore 21, domenica ore 17.30

Articolo di: Laura Sales
Grazie a: Chiara Crupi, Ufficio Stampa Artinconnessione

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