Il più bel complimento
Sono rimasto chiuso in una sala teatrale, con un’attrice, un attore ed un regista, la sera prima dello spettacolo, avendo con me soltanto i miei strumenti di lavoro. Ho disegnato ininterrottamente per circa due ore, completamente al buio, (aiutato anche da una benda), adoperando pastelli colorati e supporti di varie dimensioni. Ho assistito soltanto con l’udito all’evento teatrale. Con il tatto, annotavo le sensazioni che traducevo da dialoghi e da immagini che man mano apparivano dal mio interno. Durante la pausa, toltami la benda, ho sparso il palco di disegni. Ci siamo seduti a terra tutti e quattro, in silenzio. Poi sempre in silenzio li ho raccolti e sono tornato nel mio studio. Il giorno dopo ricevo questa breve lettera dall’attrice:
Un mese di lavoro quotidiano, di training fisico in cui non abbiamo mai avuto il tempo per pensare al testo… non ci siamo mai chiesti nulla sul personaggio, non abbiamo mai sofferto quello che si diceva nel testo. Tutto il lavoro è stato sulle tensioni corporee, produrre maggiore o minore tensione muscolare; mettere il corpo nella condizione di non usare il minimo sforzo per il maggior risultato, ma creare una partitura di azioni fisiche dall’inizio alla fine dello spettacolo dove poter incanalare il testo.
Grazie a questo clima rilassato e ad un ordito stabile, quello della partitura fisica, da cui ci siamo sempre sentiti protetti abbiamo condiviso il tempo pre-spettacolo con un pittore il quale al buio ha lavorato al suono delle nostre parole, alle sensazioni delle azioni sceniche.
Per l’attore il tempo delle prove è un tempo extra quotidiano, intimo in cui si è privi di barriere, in cui tutto fluisce, in cui ci sono emozioni e momenti irripetibili spesso di un valore più alto di quello che si riesce a dare al cospetto con lo spettatore e proprio a causa di questo fiume di emozioni forti è un tempo a porte chiuse in cui l’unico rapporto esistente è con la scena e con il regista… ma in questo caso… ci siamo concessi qualcosa di diverso… un artista che lavorasse in parallelo con il suo strumento nello stesso tempo e, soprattutto, nello stesso spazio.
Franco era li, dove finiva la scena e noi eravamo dentro il nostro rituale, era con noi, ma lontano da noi… c’era una creazione a più livelli, il suono del suo gesto accompagnava, risuonando nello spazio, il nostro rito.
Sarei falsa se dicessi che la sua presenza o la sua assenza avrebbe prodotto lo stesso effetto… non è così… quello che è nato da noi sulla scena è grazie e perché c’era un altro con noi, che vibrava di noi, che viveva con noi, che creava altro da noi…
Riguardare i suoi lavori a posteriori è stata una sensazione difficile da dimenticare: fino a quel momento noi due e il regista avevamo vissuto il nostro tempo e il nostro spazio senza alcun rispecchiamento esterno, tutti dentro al lavoro… ma quei disegni… quei segni, erano noi…. Grazie, grazie ancora.
(Laura Sales)
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