Un testo difficile da leggere senza vederlo, nato per essere interpretato e danzato, che si anima come l’inconscio confuso e contraddittorio che parla senza punteggiatura.
Le parti si invertono e gli archetipi si rovesciano ed è una figlia che si trova costretta a fare i conti con il dover essere e ad insegnare alla madre quello che l’etica vorrebbe dalla maternità. Un astio che attraversa una madre non esaltata dalla figlia nella propria femminilità ma che si sente minacciata dal suo librarsi nella vita.
Un gioco di specchi che infrangono e si scompongono mentre un abbraccio segreto, senza parole sembra profilarsi nell’ombra. Viene da chiedersi se non sia la stessa donna che senza poter germogliare odia il mancato frutto come quell’immagine di sé, che dice giovinezza, sogno e una promessa delusa dalla vita.
Che sia la figlia la sola buona coscienza che si accende nel buio di un dolore che sfigura? Non ci è dato saperlo. Ci si chiede soltanto perché quella madre non provi a fondersi nel proprio fiore per ritrovarsi.
Può essere che così sia ed è la figlia-coscienza che si indica la strada? “Tempo, tempo”, chiede: ma non ci è dato sapere se sia la consapevolezza che il tempo è il laccio che ci trascina e ci ricorda che siamo mortali o che sia una richiesta, un’invocazione…di tempo appunto, di una pausa di riflessione, di distensione, un’apertura di speranza.
Ilaria Guidantoni
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