lunedì 11 aprile 2011

....Corpi di donne su di un piano inclinato LAURA-FIGLIA

Il mio amore per la drammaturgia di Daniel Fermani cresce di testo in testo.
La sua schiettezza, la sua poesia, la sua sintesi, la sua ricerca ha rapito il mio cuore; è diventata per me quasi una dipendenza. A livello attoriale i suoi personaggi sembrano scritti per me, sembrano leggere nelle viscere della mia anima, in tutto ciò che di complesso e contraddittorio esiste nel mio essere donna.
Uscendo da me...rifletto ed arrivo alla conclusione che Daniel legge l'universale del mondo femminile, anche quello che nessuna donna vorrebbe mai far uscire dalla propria bocca.
Appena letto il testo ho pensato a mia madre, a colei che avrebbe dovuto essere la mia madre scenica... e dubbi non ne ho avuti; sin dall'inizio un'unica madre si è presentata davanti ai miei occhi: Marina.
Solo lei. Nessun altra avrebbe potuto essere mia madre. Lei così lontana dalla madre drammaturgica, lei che non è madre, che è ancora figlia, lei così buona, lei... si solo lei.
Paradossale ma nessuna ombra ha mai velato questa scelta.
I suoi occhi rientrano nel mio immaginario di donna, di colei che ama con tutta se stessa, e che nello stesso tempo, è capace, di uccidere, di sputare veleno, di odiare per difendere il suo credo.
I mesi di prove sono stati bellissimi, intensi, difficili, dolorosi ma, soprattutto ricchi di complicità e intimità.
Abbiamo parlato a lungo, ci siamo raccontate di tutto, ci siamo conosciute a fondo; abbiamo spaziato nella letteratura, nella nostra anima, nelle nostre paure, nelle difficoltà... Tutti i terreni sono stati sfiorati dalle nostre parole e dalle nostre emozioni....
Lo spettacolo che ne è nato è stato come il testo, una macchina scenica, un orologio, nella sequenza di azioni fisiche e, nello stesso, tempo un fiume, con argini precisi, dove nuotare e liberarci.
Dentro di me, questo lavoro occupa un posto particolare, tra quelli che mai dimenticherò....all'inizio delle prove ho scoperto di aspettare un bimbo, quella vita tanto desiderata che non voleva arrivare. Ed è strano, quasi impossibile da descrivere cosa si possa provare in questa doppia creazione, quella dello spettacolo e della vita che si porta dentro. Che strano essere figlia, una figlia che ancora non conosce i “dolori del parto”, “cosa vuol dire essere madre” e dentro iniziare ad esserlo.
Sentivo dentro di me la vita crescere e, contemporaneamente,  le pulsioni contrastanti salire su per la gola, sentivo la gioia e la paura.
Sentivo l'inadeguatezza e la consapevolezza. Ho avuto paura. Paura di non essere all'altezza. Paura di sentire dentro di me le parole della mia madre scenica. Paura di non essere pronta per avere una figlia femmina. Una figlia femmina è una donna. Un fiore meraviglioso, uno specchio che riflette l'altra.e forse io ancora  avevo da risolvere qualcosa per poter essere madre... con Marina ne abbiamo parlato molto e tutto ciò è stato materiale vivo per la messa in scena. Lei donna-non madre, io in attesa di un figlio; il rapporto tra me e mia madre; tra lei e sua madre; il conflitto donna-donna; la donna di un tempo, il legame con la natura, la donna di oggi, la nostra ricerca, il nostro modo di vivere... nulla è stato  gettato, tutto è in quelle parole, tutto è nel sottotesto di madre e figlia... che altro dire! Se vedo le immagini delle prime repliche, il grembo gonfio e osservo gli occhi di mio figlio... sento che questo lavoro sia stato un percorso, un  percorso necessario per me donna, un filo rosso tra la donna e la madre... e se una nuova vita ci sarà... adesso “donna può” e “deve essere” essere!!!!!!!!!!!!!!
!!!!

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