sabato 9 aprile 2011

Le mie recensioni su SaltinAria: 2010: Qualcuno volò dal nido del cuculo

Dal 24 Febbraio al 13 Marzo. “Duemiladieci - Qualcuno volò dal nido del cuculo”, liberamente ispirato al famoso film di Milos Forman e al romanzo di Ken Kesey, racconta lo scandire sempre uguale del tempo in un reparto di un ospedale psichiatrico, dove l’iper-controllo e la manipolazione della mente e delle emozioni altrui è affidata a uomini e donne con camici bianchi che somministrano medicine per mettere a tacere gli impulsi e le emozioni di coloro che non sono in grado di integrarsi con la società, aiutandoli in tal modo a divenire persone socialmente integrate e prive di istinti ed emozioni “sconvenienti”.


Comprensorio Santa Maria della Pietà
Ex Manicomio Provinciale Padiglione 28
Produzione O.L.T.R.E. Roma presenta
DUEMILADIECI - QUALCUNO VOLO’ DAL NIDO DEL CUCULO
Con Aldo Rapè, Sonia De Meo, Carlo Di Maio, Piero Cardano, Pierre Bresolin, Rita Gianini, Maurizio Bellardini, Valentina D’Andrea, Francesca Primavera
Scritto e diretto da Lauro Versari
Aiuto regia Esmeralda Vascellari
Scene e disegno luci Studio la Tavolata Roma
Costumi Vize Ruffo
Organizzazione Antonella Dicarlo
Comunicazione VI&GI press

Quattro uomini e una donna, cinque pazienti, conducono giorno dopo giorno la loro “normale” esistenza all’interno di un reparto di un ospedale psichiatrico, accettando senza fare domande i farmaci che vengono somministrati, i metodi di cura che la direttrice, la psicologa e i medici ritengono necessari per la loro prossima integrazione nel mondo dal quale spontaneamente hanno deciso di uscire. Ognuno di loro accetta di rispettare il REGOLAMENTO, la REGOLA e la DISCIPLINA, basi per una possibile futura esistenza NORMALE; ognuno di loro ha messo i propri pensieri, le proprie emozioni in un angolo dimenticato della psiche, ognuno di loro ha scelto “spontaneamente” di vivere all’interno di uno spazio “psichiatrico” e di uscire dall’esistenza normale in quanto si sentiva diverso. Ognuno con una storia personale da analizzare attraverso gli occhi della direttrice del reparto e della psicologa durante la terapia, la riunione di gruppo. Gli orari serrati: pasti, lavori di recupero, giochi di carte e riunioni di gruppo mantengono ordine e rigore; la paura di essere portati al terzo piano o dai medici specialisti porta i pazienti a poco a poco a divenire degli automi e perdere le sembianze degli esseri umani. Questa la situazione, lo spaccato che ha davanti agli occhi il nuovo arrivato: Aldo Marfi, un TSO trasferito dal carcere, i cui confini di normalità o patologia devono essere ancora testati. Aldo Marfi si inserisce da uomo in un contesto di ombre, di fantasmi di persone “normali” che accettano tutto perché hanno accettato di non vivere; contesta le regole, fa domande, chiede quali medicine gli vengono somministrate, prova a chiedere elasticità ed insinua passo dopo passo gocce di vita nelle menti degli altri pazienti. La personalità forte, spocchiosa, arrogante, divergente pone di nuovo la base di una possibile identità in individui che non c’erano più. Le riunioni che fino al suo arrivo non erano altro che domande prive di risposte della direttrice, diventano dibattiti veri e propri, giocati come una partita a dama dove ogni giocatore rischia se stesso. Marfi discute, Marfi non accetta il regolamento, la terapia come cosa più importante; “Se lei non vuole dire niente non dica niente”, dice la direttrice, “ma ricordi la cosa più importante è la terapia” e per questa sua normalità il cappio attorno al suo collo viene stretto sempre di più. Marfi diventa un pericolo vero e proprio, Marfi diventa il leader, la possibilità di guarigione senza l’annientamento dell’Io, Marfi diventa per il gruppo la possibilità per ognuno di esplicitare la propria patologia e integrarla. Marfi diventa l’alter ego della Dott.ssa Stasi, direttrice fredda, gelida, incapace di relazionarsi con i pazienti, manipolatrice della mente altrui che utilizza la propria posizione per mantenere l’ordine. Marfi affronta il Sistema come una società normale, con spirito di contestazione e di innovazione per rendere la propria permanenza più piacevole possibile. Agli occhi degli altri degenti del Reparto, repressi e frustati, rappresenta una novità, uno stimolo intellettuale e fisico, la rinata consapevolezza che la vita non è finita al momento del ricovero, congelata in un’eterna ripetizione del quotidiano ma che questa si può riaccendere anche solo con l’aggiunta di un nuovo pezzo.



Nove attori: sei degenti, la direttrice, la psicologa e l’inserviente che costituiscono un quadro scenico perfetto e armonico, da una parte un triangolo, quello medico, di stabilità, di freddezza, di sadismo, di non comunicazione, di finta normalità esasperata al punto di sembrare robot non in grado di provare alcuna emozione, dalle voci lontane e quasi metalliche, dai toni che non fanno mai presupporre che ci possa essere risposta o confronto; dall’altra i pazienti, una donna e quattro uomini, con le loro “patologie”, il proprio dramma, la propria impossibilità di comunicare il disagio fisico e mentale che provano in quel non luogo che è se stessi. La donna, quasi una barbona, magrissima, che si sposta con il proprio album da disegno e lo sgabello su cui non siede, un uomo ossessionato dalla fisicità della propria moglie che sa di essere “diverso” ma non può accettarlo, un ragazzino che balbetta con una madre castrante e manipolativa, un uomo bambino che mastica gomme americane, piange e non sopporta la cattiveria.
Questo il gruppo delle riunioni.
Ai margini dello spazio, un “omone” che pulisce continuamente la stessa mattonella “sordomuto”. A cui si aggiunge Marfi che ha il compito di ribaltare con la sua normalità ogni schema, ogni ordine prestabilito. Il gruppo lite dopo lite, contestazione dopo contestazione inizia a prendere corpo. L’identità e la verità di ognuno viene in superficie con la propria violenza, il proprio dramma, la propria essenza. Con lo scorrere di un tempo che non è più oggettivo, non è più quello del reparto ma diviene quello del gruppo e del vissuto del singolo prende corpo il reale. Lo spettatore dimentica di essere a teatro, dimentica che quello che sta avvenendo davanti ai suoi occhi è tempo e spazio scenico ma entra nel reparto, ne percepisce l’odore, i legami, i vissuti, le difficoltà, le emozioni, sente la paura del terzo piano, sente la verità della trasformazione avvenuta in ogni singolo degente con l’arrivo di Marfi, sente il confine labile che esiste tra normalità e pazzia e non è solo lo spazio ospitante che crea ciò. No, sono gli attori; ogni singolo attore in questo spettacolo è vero; ogni singolo attore è il personaggio; ogni singolo attore incanta lo spettatore trasportandolo nel proprio mondo, nel dramma di una vita, di una luce che non c’è più. Il silenzio, il balbettio, le gomme americane, la musica tutto diventa simbolo di vita e non vita. Di lotta tra l’essere, il voler essere e lo scomparire.  Una regia minuziosa, studiata al punto da potersi permettere di divenire invisibile, fa di questo spettacolo un piccolo grande spaccato artistico capace di gettare semi, domande ed emozioni nella parte più intima dello spettatore.  Uno spettatore che per più di due ore rimane immobile, silenzioso e parte di questo dramma che è solo una grande metafora del nostro mondo. Una metafora che non ha bisogno di altre parole se non quelle utilizzate dall’arte “quanto a volte è più facile essere folli che ribelli! …tu non hai mai sentito la gente ridere di te….io da qui me ne posso andare quando voglio…voi siete qui perché non riuscite ad adattarvi alle regole della società,,,.le regole non arrivate da bambini, le punizioni che non ci sono state sono la causa della vostra malattia di oggi…che ci facciamo noi due in questo posto di merda…”.



Comprensorio Santa Maria della Pietà, Ex Manicomio Provinciale Padiglione 28 - Piazza Santa Maria della Pietà 5 Roma
Biglietti: posto unico € 15.00
Orario spettacoli: giovedì, venerdì e sabato ore 21.00, domenica ore 18.00
Per informazioni e prenotazioni: telefono 320/1442229 begin_of_the_skype_highlighting              320/1442229      end_of_the_skype_highlighting

Articolo di: Laura Sales
Grazie a: Giulia Taglienti, Ufficio Stampa OffRome

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